Sei su Archivio / 2020 / eventi

LA VIOLENZA RAPPRESENTATA – Tra Immagine e Simbolo



Con questo breve scritto metto in chiaro i pensieri che mi hanno accompagnata nel seguire il lavoro di realizzazione della mostra “La violenza rappresentata” e faccio ciò in quanto fotografa ed interessata alle potenzialità  espressive della fotografia.

La violenza sulle donne è documentata ad ogni telegiornale, nelle tante inchieste specifiche, su internet, sui giornali, continuamente. Ho sentito qualcuno chiedersi come mai oggi ci sia tanta violenza rivolta al mondo femminile, quasi fosse un fenomeno contemporaneo. Sappiamo bene, però, che non si tratta di una pratica recente: la violenza sulle donne si è sempre perpetrata, in particolare quella che avviene fra le mura domestiche; ma adesso si sta strutturando un'opinione diffusa che ne pone in dubbio la lecita consuetudine. Perché  la violenza sulle donne, per molto tempo, è stata accettata come una pratica normale e quindi socialmente tollerata.

Molto spesso veniamo a conoscenza della violenza usata su di una donna, solo quando si è arrivati al “punto di non ritorno”, cioè al femminicidio; ne consegue che non è sufficiente informare circa il fenomeno, ma è  importante soprattutto educare a saperlo riconoscere e a valutarlo in maniera adeguata e per ottenere ciò è necessario attivare i sistemi comunicativi più idonei affinché ciò avvenga nel più incisivo dei modi. Infatti il parlarne non è l'unico mezzo efficace per fare crescere la coscienza intorno al problema violenza, perché la comunicazione frequente può a volte addirittura risultare banalizzante rispetto al concetto stesso, nella ripetizione quotidiana può fargli perdere di drammaticità, ammorbidire la forza dell'impatto fra le troppe parole pronunziate, relegarlo a routine comunicativa.

A questo punto si è fatta strada l’idea di generare, attraverso l’attivazione di una mostra fotografica, un doppio processo virtuoso: educare al problema della violenza sulla donna e contemporaneamente all’uso della fotografia come strumento comunicativo, attivandone le potenzialità espressive e simboliche e sfruttandone le qualità  specifiche. Perché lo sappiamo, la parola è analitica e deve dosare il suo tempo in funzione del risultato che vuole ottenere, mentre l'immagine è  sintetica nelle rappresentazione di un'idea e lo fa immediatamente in maniera compiuta, pur essendo, proprio come la parola, capace di sedimentarsi nella memoria.


La scelta di operare  attraverso l'immagine fotografica per la narrazione e la elaborazione di un concetto, come avviene nella mostra curata da Paola Coluccio, è una scelta didatticamente importante, che tiene conto dell'universo contemporaneo in cui sono immersi i giovani, universo in cui la penetrazione dell'immagine è  sicuramente determinante e può essere sensibilizzatrice e propedeutica alla giusta assunzione anche di altre tipologie informative.

Del resto osserviamo come la parola sia soggetta, nella comprensione,  alla conoscenza da parte di chi la ascolta, della lingua che l'ha prodotta, mentre l'immagine parla un linguaggio universale e può raggiungere tutti. Si guarda una fotografia e si assume il senso di ciò che vi è rappresentato, in maniera diretta, senza mediazioni, senza dover esercitare la volontà di apprendere, come avviene per la lettura e il messaggio ci coglie direttamente, anzi, non abbiamo modo di sottrarci ad esso.


Tutte immagini fotografiche riproducono le apparenze del soggetto reale a cui si sono rivolte, ma nella nostra cultura le fotografie servono a molti scopi e, pur essendo tutte prodotte da un “clic” e pur essendo tutte fruibili in maniera bidimensionale, attraverso un supporto rigido (carta, plastica, monitor che sia), la gamma dei loro contenuti e le motivazioni per cui sono prodotte sono infinite.

I giovani a cui si è rivolta la pratica educativa innescata dalla mostra in oggetto sono stati invitati a cogliere la capacità rappresentativa della fotografia (sicuramente molti di loro già fotografavano) superando però il limite dell'esclusiva valenza estetica del prodotto. Se fotografiamo un bel tramonto la fotografia ce ne rimanderà l'emozione originaria, senza fornirci probabilmente altre informazioni. Progettando le immagini che dovranno  rappresentare la violenza sulle donne, i giovani sono stati stimolati a produrre una fotografia capace di rappresentare un concetto. Quindi a pensare alla fotografia in maniera diversa. La hanno progettata come si progetta  un film, o  un romanzo, si sono serviti di un mezzo capace di produrre una narrazione simbolica che inoltre sarà estremamente sintetica e proprio per questo estremamente efficace.

Nella nostra realtà contemporanea si sostituisce spesso all'esperienza conoscitiva il rapporto mediato dalla camera fotografica, quindi la violenza rappresentata appunto attraverso la camera fotografica assume il vigore e la credibilità di un messaggio autorevole e la scelta da parte del fotografo degli elementi per la rappresentazione di questo dramma femminile si varrà di situazioni ed elementi simbolici che comportano una complessa elaborazione dei concetti. Si tratterà cioè di una foto che costruisce una narrazione della realtà, effettuata attraverso simulazioni del reale e organizzazione di simboli, che sarà  capace di raccontare un intero dramma in una sola scena,  mettendo in moto nel giovane operatore uno sforzo creativo che esprima il problema della violenza sulle donne attraverso la potenzialità narrativa della foto, chiudendo così il cerchio di una sperimentazione educativa.

Certo non tutte le foto riusciranno nell'intento espressivo che si propongono, la capacità  di elaborare simboli efficaci si evolve con l'esperienza e la maturazione e soprattutto cambia con l'esperienza la capacità di adottare elementi simbolici non convenzionali, dando luogo a prodotti narrativi originali. Ma questo processo di ricerca innescato in ogni giovane fotografo, attraverso la produzione di immagini per questa mostra, non si fermerà certo a questa prima esperienza e probabilmente entrerà a fare parte del bagaglio di esperienze creative a cui egli attingerà per il resto della vita.

Maria Luisa Corapi

Architetta e fotografa

 
     Area riservata      © 1996 - 2023 Biblioteca delle donne - Soverato (CZ)      Webmaster - www.sistemic.it